Questo splendido consenso.

Oggi Rocco Siffredi ha dichiarato che le persone non capiscono che il porno è finzione, fatto di artefatti vari, pensano sia reale, da emulare, quindi forse è meglio bloccare i siti porno o non fornire libero accesso a tutti. Aggiunge pure che l’industria del porno è intrattenimento, non ha nulla a che vedere con l’educazione sessuale. Ma allora chi si occupa di educare la società, giovani e (soprattutto) adulti? Le famiglie sono impreparate, se genitori o educatori per primi non hanno ricevuto una educazione sessuale come possono a loro volta trasmetterla? A parte qualche eccezione, la scuola italiana se ne lava beatamente le mani dell’educazione sessuale. I consultori sono affaticati. Ci sono varie associazioni in prima linea, ma ampie porzioni di territorio sono scoperte dal loro raggio d’azione. Così i giovani e i meno giovani sono lasciati al caso, al porno, ai contenuti che passano sui social ma che se sono troppo lunghi non se li fila nessuno e indovinate? Questo sarà un contenuto medio- lungo. Sigh.

Io credo che a parlare di educazione sessuale debbano essere proprio tutte le agenzie di sensibilizzazione, famiglia, scuola, organizzazioni ludiche, sportive, è un tema così fondamentale che passarsi la palla ha portato gli effetti nefasti che vediamo al telegiornale oggi. Revenge porn, stupri di gruppo, femminicidi all’ordine del giorno, difficoltà enormi a costruire relazioni affettive sane. Se non vogliamo continuare ad affondare nella cultura dello stupro di consenso ne dobbiamo parlare per forza, è il consenso a rappresentare il nucleo di una nuova cultura fondata sul rispetto delle differenze dell’altr@ e della sua volontà.

La cultura patriarcale ci ha sempre rappresentato l’altr@ come qualcun@ da conquistare, e in guerra come sappiamo non si chiede il permesso di invadere il territorio altrui. In verità una relazione autentica si fonda sulla libertà di dire di “no” e di dire di “si” con la testa e con il cuore e nella capacità di gestire le proprie reazioni davanti a un rifiuto. Siamo davvero edotti sulla cultura dello stupro ma non sappiamo nulla su quella del consenso, cos’è, come si “fa”. Sappiamo cosa bisogna evitare, ma non conosciamo cosa bisogna invece fare per praticare questo famoso consenso, e quelli tra noi che vorrebbero iniziare si sentono bloccati nell’incertezza del fallimento a priori.

Per me il consenso è un’evoluzione naturale, legato al mio sviluppo prima nella comunicazione non violenta, poi in quella assertiva e infine in tutti gli studi legati alla cultura di genere, ambiti in cui il rispetto per l’essere umano è il punto di partenza per costruire relazioni sane. Però esercitarsi con chi non pratica è sempre un fottuto casino, il nodo dei nodi, come essere assertivi e non violenti con chi assertivo non è? Come praticare il consenso con chi nuota nel mare della cultura dello stupro? Da qualche parte bisogna pur iniziare.

Faccio una ricerca bibliografica sul consenso sessuale. Poca roba. Trovo qualche libro in italiano, mi colpiscono in particolare “No significa no. Creare una cultura del consenso per combattere la cultura dello stupro” di Benedetta Lo zito e “No. Del rifiuto, di come si subisce e di come si agisce e del suo essere un problema essenzialmente maschile” di Lorenzo Gasparrini.

Esiste però un libro molto specifico sul consenso “Il sesso che verrà”, di Katherine Angel. Secondo questa autrice ci sono diverse forme di consenso, a partire dalla sua negazione. No significa no, il consenso affermativo, il consenso entusiasta. La prima forma di consenso è quella dove “No significa no”. Il “no” è esplicito, non mi va, non mi piace, no e ancora no. Il problema di questa forma di consenso si riversa sulle vittime di violenza: sei sicura che hai detto che non volevi? Molte survivor (uso il termine che in inglese indica le vittime di violenza perchè rappresenta meglio il mio sentire) nemmeno ci riescono a dire di no: la violenza immobilizza, e un rifiuto esplicito potrebbe peggiorare la situazione e metterle in pericolo di vita. In quel processo assurdo che è la vittimizzazione secondaria, se la vittima non ha saputo dire no allora è come se fosse colpevole. Potete capire quanto sia difficile parlare di consenso solo in questi termini allora.

Dire di no è comunque fondamentale, dovrebbero insegnarcelo fin da piccole, anzichè scrivercelo sulle mutande da adulte. Per dire no occorre una competenza altrettanto utile sin da bambine: quella di riconoscere i precursori di una violenza. Altra cosa che non ci insegnano e su cui torniamo a parlarne in seconda sede.

Non dire di no quindi non basta, bisogna dire esplicitamente “Si” per avere un consenso sessuale. Lo so che voi vi state già immaginando nude ai piedi di un letto prima di un rapporto sessuale che gridate “Si, lo voglio!” Questo si chiama “consenso affermativo” e -spoiler- può essere anche non verbale. Questo consenso può anche essere forzato da minacce o coercizioni varie, ancora non ci siamo mannaggia.

Ecco che arriva il consenso entusiasta, quello libero da minacce, quello che nasce dalla vera voglia di fare sesso con quella persona. Dire di si sentendosi davvero motivati a dire si. Ma succede sempre? Immaginate le dinamiche di una coppia che magari sta insieme da molti anni, pensate che uno dei due partener ottenga sempre un consenso entusiasta? Oppure chi sta cercando una gravidanza o chi fa sesso per lavoro? E gli assessuali? A volte fare sesso è un modo per arrivare a ottenere qualcos’altro, che ci piaccia o no. E’ un terreno scivoloso quello del consenso, ricco di insidie, ma non per questo da evitare, anzi, ci sentiamo maggiormente spronati a ragionarci in maniera critica, con pancia e cuore.

Dire di no è difficile, dire di si è pure peggio, perché se lo diciamo diventiamo tutte zoccole bersagli di slut shaming.

Se volete approfondire gli argomenti del libro, nel podcast tileggiamounafemminista trovate una puntata dedicata.

Sempre più spesso si parla di consenso autentico, in cui si dice di si senza condizionamenti o minacce ma prende in considerazioni tutte le situazioni in cui il sesso non viene praticato per il piacere in sè.

Chiedere conferma a tutti i livelli, non basandosi solo sul verbale ma anche sulla comunicazione non verbale e prossemica, a costo di mettere a rischio di arrivare al sesso, questo è consenso.

In queste settimane sto leggendo “La zoccola etica” e sono inciampata per caso in un articolo stupendo scritto dalla redazione di Poliamore nel lontano 2013 ma ancora molto attuale. Trovate l’intero articolo a questo link , mi ha colpito molto il processo di consenso relativo a un bacio, una cosa così apparentemente semplice, in cui l’autrice dell’articolo racconta in modo magistrale la sua prima esperienza consensuale a partire da quel bacio, da quella frase che le fu rivolta: “Mi piacerebbe baciarti”.

“Il bacio è stato meraviglioso. Mi son sentita sciogliere. Ed è stato così bello essere totalmente, interamente preparata. Non c’è stato nessuno shock del “oh, ci stiamo baciando”. In più, sapevo che entrambi davvero volevamo fare quello che stavamo facendo, non stava solo “succedendo”.

Leggete, non voglio fare troppo spoiler.

Abbiamo bisogno di modelli, non di maestri. Di qualcuno che ci dica: io faccio così, però non lo so se è giusto, parliamone, condividiamo. Abbiamo bisogno di scardinare la cultura dello stupro dalle basi fatte di violenza quotidiana, economica, linguistica e psicologica a tonnellate. E sicuramente abbiamo bisogno di iniziare a parlarne, per invitare il consenso a far parte delle nostre vite.

Un commento Aggiungi il tuo

  1. Orietta 80 ha detto:

    Wow stupendo complimenti 👍👏

    "Mi piace"

Lascia un commento